Le mutazioni nascoste nella zuppa Campbell e il futuro del pomodoro, Piante

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view post Posted on 23/6/2020, 13:13     Top   Dislike
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La Campbell’s Soup è l’immagine simbolo della pop art. Zach Lippman è una stella della genetica vegetale. Le mutazioni criptiche sono un rebus irrisolto.

Ecco gli ingredienti dell’affascinante storia raccontata su "Nature Plants", in un paper che svela alcuni episodi inediti del recente passato del pomodoro e si propone di guidare (con l’aiuto di CRISPR) la sua evoluzione futura.

Tutto comincia alla metà degli anni Cinquanta, nei campi di pomodoro della Campbell, che presto diventerà un marchio iconico grazie al genio di Andy Warhol. Fra tante piante qualsiasi viene notato un mutante spontaneo che presenta una caratteristica utile. Il frutto si stacca perfettamente dalla pianta, grazie a una fortunata mutazione che viene chiamata j2 (jointless-2).

In pratica la rottura non avviene in corrispondenza di una sorta di articolazione, come accade di solito, e ai pomodori non restano attaccati residui del calice e del peduncolo. La mancanza di parti appuntite evita gli ammaccamenti durante la raccolta e il trasporto. Il mutante della Campbell, dunque, appare ideale per la produzione su larga scala.

Durante gli anni sessanta, mentre i barattoli della zuppa diventano il simbolo stesso della modernità, molti specialisti del miglioramento genetico (breeder) lavorano instancabilmente per introdurre questo tratto in altre varietà di pomodoro. Ben presto però si accorgono che le piante con la j2 hanno un problema: fioriscono in modo così impetuoso da causare uno sbilanciamento tra parti vegetative e riproduttive cosicché, paradossalmente, da più fiori non si ottengono più frutti, ma meno. Che cosa è successo?

Chi conosce la storia del breeding sa che è fatta di tentativi ed errori. Si selezionano nuovi tratti potenzialmente vantaggiosi, cercandoli come aghi in un pagliaio, e si verifica come si manifestano in contesti differenti, dopo averli introdotti in varietà diverse attraverso gli incroci. Se qualcosa non funziona a dovere, bisogna scartare i frutti di questo lavoro e ricominciare da capo.

Nel caso allo studio, come spiegano Lippman e i suoi colleghi del Cold Spring Harbor Laboratory, il problema nasce dall’interazione negativa tra la mutazione j-2 e un’alterazione del DNA più antica, che risale alla domesticazione avvenuta oltre 4.000 anni fa ma è ancora molto diffusa tra le varietà moderne di pomodoro. Gli effetti indesiderati della vecchia mutazione sono rimasti nascosti per tutto questo tempo, finché non è arrivato il nuovo cambiamento a svelarli.

Non disponendo di conoscenze genomiche né di strumenti versatili come CRISPR, i breeder hanno cercato una soluzione provando e riprovando, passando al setaccio le varietà di pomodoro disponibili fino a trovarne alcune in cui l’antica mutazione non creava problemi, perché non era presente oppure era raddoppiata. Se una mutazione abbassa la funzionalità di un gene del 30 per cento, come in questo caso, avere due copie del gene riporta, più o meno, le cose a posto.

Nel passato, dunque, era necessaria una buona dose di fortuna oltre che una notevole tenacia. Oggi però i genetisti possono trarre ispirazione da episodi come questo per lavorare di fino sulle mutazioni, evitando effetti inattesi che potrebbero compromettere la produttività delle nuove varietà sviluppate.

Lippman è convinto che esistano molti altri esempi di mutazioni criptiche, magari meno evidenti, ed è determinato a capire come rendere queste variazioni gestibili per facilitare il miglioramento genetico del pomodoro e di altre specie. “Nel mare delle mutazioni esistenti, vogliamo capire quali abbiano maggiore probabilità di rivelarsi problematiche quando si operano degli incroci o si interviene sul DNA con l’editing genomico”, ha spiegato lo scienziato.

Teodoro Cardi lavora con CRISPR sul pomodoro al Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e intravede un filo rosso tra quest’ultimo studio e altri exploit recenti. “II paper di Lippman e colleghi è l’ultimo di una serie sullo sviluppo della pianta e sulla fioritura in pomodoro. Ha il pregio di ricostruire in dettaglio gli effetti del lungo lavoro della selezione, praticata in modo più o meno ‘inconscio’ durante la domesticazione prima e il miglioramento genetico poi”, ci ha spiegato il genetista.

“Nel corso del tempo i breeder hanno ottenuto quello che volevano, ma si è trattato di un lungo sforzo fatto di aggiustamenti graduali. Oggi invece, come dimostra l’articolo su "Nature Plants", le conoscenze approfondite sulla struttura dei genomi e la possibilità di modificare in maniera mirata l’espressione di singoli geni mediante le tecnologie per l’editing, consentono di mimare anche l’effetto dose delle mutazioni con effetti non facilmente evidenziabili”, prosegue Cardi.

“È quindi possibile prevedere i migliori assortimenti di varianti geniche, riproducendo i diversi scenari legati alla combinazione di tratti diversi”. I risultati del lavoro di miglioramento genetico, insomma, stanno diventando più predicibili. E le brutte sorprese dovrebbero diventare meno frequenti.
 
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